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Parolin tradito dagli italiani fa convergere i suoi voti su Prevost (che alcuni cardinali non volevano). Ecco cosa è successo

14 ore fa 1
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Sulla Loggia delle Benedizioni, alla fine del suo discorso programmatico – pace, unità, dottrina sociale (quindi poveri, emarginati, migranti, sinodalità) – Papa Prevost fa intuire subito alla Chiesa di essere arrivato a pacificare un po' le varie anime che si sono scontrate dietro le quinte in questi giorni. C'era proprio di tutto. I bergogliani e gli anti bergogliani, i sinodali duri e puri e i tradizionalisti, i conservatori più moderati e tanti indecisi costituiti prevalentemente dai “peones”, cardinali di sedi periferiche particolarmente disorientati data la circostanza. Essere eletti alla quarta votazione significa che comunque Prevost partiva già con una base di consensi non indifferente. Ora avrà il compito di fare da rammendatore usando tanta pazienza e abilità per rattoppare le ferite che si sono accumulate in questi anni sul tessuto ecclesiale. A nessuno è sfuggito che ieri accanto a lui, davanti alla folla e sotto le telecamere di tutto il mondo, c'era il cardinale Pietro Parolin. Era il candidato favorito alla partenza del Conclave ma dopo tre votazioni andate male (l'ultima ieri in tarda mattinata), e nonostante il suo cospicuo pacchetto di voti (tra i 40 e i 50), consapevole di non riuscire a raggiungere il quorum richiesto assai elevato (89), il più alto di sempre, ha fatto un passo indietro.

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LAVORO DI CESELLO

Ovviamente la presenza dell'ex Segretario di Stato su quel balcone non era casuale e che stava a significare parecchie cose. Pare che il cardinale Parolin ad un certo punto abbia lavorato di cesello e avviato una mediazione, tessendo la tela nei conciliaboli che si sono tenuti a Santa Marta per riuscire a rendere possibile l'elezione di questo cardinale outsider, travasandogli i suoi voti, convincendo la cordata dei diplomatici, facendo la spola tra i brasiliani che inizialmente avevano fatto capire di voler convergere su di lui. Prevost poteva contare sul partito dei sinodali (con Grech e Hollerich in testa), una frangia di bergogliani e, in ultima battuta anche i francesi, oltre che un gruppo di americani. Anche il francese Aveline ha ceduto il passo a Prevost, il quale alla partenza non era certamente collocato nella rosa dei papabili (Parolin, Tagle, Erdo, Zuppi, Pizzaballa) sebbene nemmeno troppo emarginato. Ex prefetto dei vescovi, fedele collaboratore di Bergoglio, sostenitore della Chiesa sinodale, anti trumpiano. Da tempo anche lui era tenuto d'occhio perché il suo profilo poteva unire l'America del Nord a quella del Sud, essere un canale di dialogo persino dentro la Chiesa e non solo fuori.

SBARRAMENTO

Così Parolin vedendo che per lui non c'era più nulla da fare e poiché sul suo nome si erano accumulate troppe perplessità e fuochi di sbarramento, sia tra i bergogliani che gli anti bergogliani, ha modificato strategia. Da uomo delle istituzioni se ha fatto un passo indietro, da diplomatico ha fatto un passo in avanti in qualità di pontiere e federatore, pur di arrivare non solo al quorum richiesto ma ad ottenere un numero di voti superiore. Forse per dimostrare che l'unità della Chiesa è possibile. L'operazione svoltasi dietro le quinte faceva leva sul fattore tempo, assai importante per non polarizzare ulteriormente il corpo elettorale e non dare all'esterno la brutta impressione di una famiglia ecclesiale tristemente lacerata. Ogni giorno di fumate nere in più non avrebbe fatto altro che determinare una perdita di credibilità evangelica. Sicché Parolin impallinato nelle tre votazioni di ieri e della prima di mercoledì, subito dopo l'Extra Omnes, ha collaborato la ricerca di un pastore, capace di governo, sensibile alla pace che potesse rappresentare un volto nuovo, e unire le forti spinte dei cardinali elettori dell'America Latina, senza tralasciare l'eredità di Bergoglio e rassicurare il partito dei moderati preoccupati per tutto il ventaglio di questioni che vanno dal rispetto delle regole canoniche al magistero e alla tradizione. In tutto questo i più conservatori ora stanno a guardare. Solo fino all'altro giorno il tedesco Gerhard Muller, teologo erede di Ratzinger ma anche amico del fondatore della Teologia della Liberazione, mandava messaggi: «Dobbiamo ricordare che il compito principale dei cardinali nel conclave non è quello di scegliere un continuatore delle idee private di qualsiasi papa precedente, ma il futuro successore di Pietro, che è il principio e il fondamento visibile e perpetuo dell'unità della Chiesa nella verità rivelata».

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